Anche se non semina, il contadino si occupa sempre del suo campo
Il maggese si chiama così perché, pare, la sua pratica avrebbe coincidenza con il mese di maggio. Con il tempo ci siamo disinteressati all’importanza dei cicli, perciò usiamo lo stesso termine anche se sforiamo di mesi e anche se l’impoverimento dei terreni ormai poco ci importa. Ma questo è un altro discorso.
Volevo soffermarmi sul fatto che da quando l’ho interiorizzata come metafora, mi piace pensare alla pratica del maggese come al bisogno di rigenerazione di sé.
Un po’ è una giustificazione che spiattello qui e là sui miei sensi di colpa quando mi sento inerte.
Un po’ – soprattutto – la trovo giusta. La concezione di riposo attivo in vista di una maggiore fertilità del terreno. Il fatto di dargli il tempo di essere pronto, di non sprossedere le sue risorse.
Che è poi proprio ciò che non ci insegna stare al mondo oggi…con la sua continua richiesta di produttività, di prosperità, di operosità. Fino a che per le strade non si vedano che visi aridi.
Com’è il vostro terreno?
Il mio un casino. Ultimamente ho fatto casino coi ritmi con le terre con le sementi con le annaffiature. A maggio ero piena di erbacce e non ho fatto in tempo ad arare, a pulire, a mettermi in osservazione del campo, a mettermi a maggese. E adesso, a luglio – sempre in orario, sempre sul pezzo – mi sto tenendo a riposo, che mi sono impoverita con tutta quella roba addosso.
Che così mi fertilizzo.
Che così rifiorisco.
Rinverdisco.
E allora approfitto del maggese, dell’utilizzo che gli psicologi hanno fatto del suo significato centinaia e centinaia di anni dopo, per dire a me stessa che la sosta è necessaria.
Grazie maggese, che ti uso a luglio 2021 totalmente fuori contesto, ma tu sei sempre attuale.
Bellissimo!!!
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