Era stata una mattinata piena di contrattempi e ostilità che le avevano provocato un certo ribollire di rabbia, che comunque rimaneva quieta sul fondo dello stomaco e anzi, veniva mitigata bene dalla temperanza e dal controllo acquisiti negli ultimi giorni. Non poteva mollare proprio adesso, alla cassa con la signora davanti che in preda a un quasi attacco di panico si ricordava quasi, non fino in fondo, il codice della sua carta di credito. Diceva che ultimamente stava andando fuori di testa, che prima di venire al supermercato era stata in farmacia dove sono tutti matti. Non poteva mollare proprio adesso, con il fiato sul collo del signore alle sue spalle, che innervosito da tanta euforica sbadataggine e con un solo pacchetto di cioccolatini e dei limoni da comprare, cominciava a sbuffare a trenta centimetri dal suo orecchio. Non poteva mollare proprio adesso, l’ultimo giorno di quest’anno di merda. Non poteva dirsi altro. Lo pensò forte e chiaro come se lo stesse pronunciando: Anno di merda, e al tempo stesso sapeva di non poter mollare perché era stato deciso che non sarebbe stata negativa né tanto meno ostile verso l’ultimo dell’anno, che dopotutto avrebbe passato con persone con le quali le andava di stare e con del buon cibo che era stato sapientemente comprato e cucinato in anticipo. Non si era scomposta nemmeno dopo aver scoperto di essere sprovvista di una piccola ma per nulla insignificante cosa: la carta igienica. Guardò la gente in cassa con le mascherine che gli tiravano le orecchie, pensando a quando il mondo aveva fatto la scorta di carta igienica credendo che l’industria della carta igienica si sarebbe fermata per sempre. Lei aveva mancato l’appello per quel momento di follia globale, ma era stata presente a molti altri. E siccome era l’ultimo dell’anno e in fondo le piaceva stilare mentalmente la lista delle cose fatte, dei buoni propositi e tutto il resto di stupidaggini mentali che molti concentrano sul finire dei trecentossessantacinque giorni e l’inizio del nuovo convenzionale anno, era arrivata al punto di pensare che aveva passato troppo tempo a sentirsi arrabbiata, frustrata, spaventata, sfiduciata e tutte le altre ‘ata’ che possano venire in mente. Aveva perciò deciso di farsi un regalo per la fine e l’inizio insieme: stare serena. Tanto il mondo non sarebbe stato meno incazzato, tutti i disastri – o quasi – che il genere umano potesse fare li aveva fatti, il Natale era stato ciò che era stato…scurdammoce o passato…
La signora davanti però oltre a non ricordarsi il proprio pin stava mettendo su una sceneggiata e la tensione con la cassiera iniziò ad ispessirsi, il signore alle spalle seguitava a sbuffarsi dentro la mascherina e cominciò a guardarsi intorno cercando una cassa più veloce e agevole da raggiungere, ma ogni corsia era occupata da almeno quattro o cinque persone con carrelli o cestelli pieni. Alcuni avevano sia carrello che cestello. Le suonò il telefono nell’istante in cui la discussione tra signora e cassiera si faceva accesa, quasi al climax dell’incazzatura generale, che cominciava ad attrarre sguardi curiosi e avidi di rabbia da raccontare.
Era sua cugina Serena, con la quale non vedeva l’ora di passare una serata di ilarità festosa ma che l’avvertiva che il compagno si era svegliato con un po’ di raffreddore e di febbre, quindi per precauzione sarebbero rimasti a casa, anche se sarebbe passata il giorno dopo a portarle il dolce che avevano preparato per lei e Jacopo.
Chiusero la chiamata dicendosi quanto gli dispiacesse. Fissò la povera cassiera con gli occhi fuori dalle orbite, mentre rimetteva via il telefono le squillò tra le dita e senza guardare rispose alla chiamata. Era Jacopo, appena avvertito dalla sua coppia di amici che erano rimasti bloccati in un impianto sciistico perché avevano sbagliato pista o non si sapeva cosa e qualcuno si era fatto male, così erano costretti a rimanere lì per la notte e a saltare la cena di Capodanno insieme. Jacopo le disse che aveva appena ritirato l’ordine alla gastronomia e che c’erano cose da mangiare per un reggimento. Si salutarono ridendo un po’ amaramente ma neanche tanto, perché a entrambi andava comunque bene stare insieme da soli.
Nel frattempo la signora davanti aveva trovato dei contanti con cui pagare e il signore dietro aveva individuato una fila più veloce in cui intrufolarsi e dove litigare con un altro signore che sosteneva di essere stato derubato del proprio posto. Ogni coda era bracere di discussioni, tutti avevano ragione e tutti avevano torto, nessuno si capiva con le mascherine, ognuno intendeva ciò che voleva, tutti erano irrimediabilmente incazzati, con i loro carrelli e cestelli pieni di cose.
Tutti tranne lei, che rimaneva serena. Stupendosi della sua capacità di rimanere così distaccata, perché era capitato che si sentisse più cinica nei confronti di questa festività un po’ esigente, fatta di convenzioni pratiche ed emotive. Fatta di code sfinenti in ogni luogo. Ora però aveva esaurito la voglia di sentirsi in dovere di rendere tutto peggio di ciò che in realtà non fosse. Pagò il proprio pacco di carta igienica, sorrise alla cassiera e mentre stava andando via incontrò Jessica: ex compagna di liceo petulante, logorroica, pedante e come se non bastasse negativa come la grandine dopo una gomma bucata in mezzo al nulla.
Una grande prova.
Jessica l’aveva vista da lontano e lei avrebbe voluto lanciarle i rotoli di carta igienica in faccia e correre via veloce lungo le scale mobili. Invece aveva svicolato da subito dicendo di essere in ritardo per una cena, così Jessica commentò gridando – che era un’altra sua prerogativa – “BEATA TEEEE!” e cominciò a elencarle tutta una serie di motivi per cui si ritrovava completamente sola la sera di Capodanno senza nessuno con cui uscire e a cui unirsi perché chi aveva la febbre, chi preferiva farsi i cavoli propri, chi aveva fatto finta di niente fin dall’inizio, chi aveva dato buca all’ultimo per impossibilità di fare un tampone – che in farmacia sono tutti impazziti!- non era rimasto nessuno. Neanche una persona. Per un secondo le solleticò la mente il pensiero di avere a cena Jessica, immaginò la faccia di Jacopo quando gli avrebbe fatto credere di aver invitato a casa la più pesante delle sue compagne del liceo per l’ultimo dell’anno; in fondo la poverina stava chiaramente e disperatamente cercando qualcuno con cui condividere la serata, continuava a ripetere le stesse cose girandole e rigirandole e con una maestria invidiabile stava chiedendo di essere invitata a cena senza farlo. A quel punto l’atteggiamento di Jessica si stava facendo irritante ma di colpo si interruppe con la più classica delle convenzioni verbali, presa da chissà quale fretta festiva che la trascinò verso l’uscita:
“…Se non ci rivediamo BUON ANNO!”
Gridò cercando invano di alzare una delle due mani per salutare, che reggevano delle buste piene di cibo che avrebbe mangiato con chissà chi.
Lei aveva la sua carta igienica. A casa la aspettava Jacopo, mezzo chilo di lenticchie, delle lasagne ai funghi, carciofi, paté e salse varie, polpette al sugo, una torta montblanc e un vassoio pieno di pasticcini. Che Capodanno meraviglioso. Nonostante la situazione mondiale, le difficoltà di ogni unità familiare, le incertezze e le preoccupazioni, nonostante un altro anno passato velocemente ma intensamente, nonostante un altro resoconto da fare, fu come se l’anno che era stato potesse essere tirato via di dosso come un abito e ci fosse la possibilità di metterne uno nuovo, appena confezionato…
Al quarto bicchiere di rosso, mezza teglia di lasagne, metà lenticchie, polpette spazzolate e struzzicherie varie, con le palpebre mezze chiuse e la risata facile, suonò il campanello ed entrambi si guardarono stupiti e ubriachi. Jacopo si alzò e andò lentamente e in silenzio, sogghignando, a guardare dall’occhiello. Tornò indietro a grandi passi in punta di piedi, ridendo sottovoce e dicendo con le labbra Io non la conosco, costringendola ad andare a controllare di persona, sempre in silenzio, sempre sogghignando.
Il campanello suonò di nuovo.
Dietro una pila di teglie di alluminio si nascondevano la testa arancione e il sorriso un po’ inebetito di Jessica. Lei aprì la porta.
“Ho pensato che se avete quella cena potete aggiungere queste cose, sono buonissime, le ho fatte io con le mie mani. C’è caponata di melanzane, peperoni in agrodolce, pollo arrosto e patate, lenticchie giganti e mascarpone per il panettone, il panettone non c’è ma tanto ogni casa ne ha almeno uno durante le feste. Godeteveli! Ciao!”
E mise in mano a Jacopo tutte le cibarie scomparendo dentro l’ascensore. I due si guardarono basiti e sorpresi poi corsero alla finestra per chiamare Jessica e dirle di salire a casa, che c’era vino in abbondanza e per loro due soltanto tutto quel cibo era troppo. In più avevano il panettone.
A Jessica si illuminò il volto. Aveva passato le ultime ore a bramare le vite degli altri, e ora la sua le parve straordinaria. Jacopo aggiunse un piatto, delle posate e un bicchiere pieno di vino. Lei pensò a tutte le cose che avrebbe dovuto fare dal giorno dopo, pensò alle persone nelle proprie case, pensò che non si sentiva arrabbiata, che avrebbe potuto guardare negli occhi la sua parte incazzata e dirle: Se non ci rivediamo buon anno.
Si sentiva serena.