Le chiese di rimanere immobile e allo stesso tempo di prestare attenzione a ciò che stava per dirle. Era certo che fosse inconsapevole dell’immagine di sé stessa in quel momento – come sempre del resto – e di ogni doppio riflesso di quell’immagine sulla parete, sulla poltrona, sulle pagine del libro, a seconda del movimento dei suoi gesti. Si sistemò sulle piante dei piedi cercando l’istante esatto, perché un punto di vista può sfuggire dalle mani in un secondo, se non si è disposti ad approfondirlo.
“…Ti parlo dell’area scura proiettata su una superficie da un corpo, che intercetta una sorgente luminosa e si interpone tra la superficie e quest’ultima. Ti parlo dell’ombra e di tutte le cose che pensi siano indissolubilmente legate a te in un modo, invece dovresti immaginarle sotto un’altra luce. Ti parlo dell’ombra e della tendenza che abbiamo a credere che qualcosa non esista, semplicemente perché non la vediamo…o della necessità di estremizzare le antitesi…”
E fece click.
Lei si voltò lentamente, senza scomporsi. Sapeva che le aveva posto la questione in quel modo perché ci riflettesse bene, forse addirittura in maniera inconsueta. Pensò all’ombra come a un elemento che nel suo immaginario aveva generalmente avuto a che fare con il nero, l’opaco, l’intangibile. Pensò all’ombra come a un’eredità emotiva, un peso, un distacco difficile, qualcosa di cui non puoi liberarti. Il lato oscuro. Ci pensò come a qualcosa su cui non aveva mai riflettuto abbastanza…
Lo vide armeggiare con la stampante fotografica che teneva nell’angolo sul comodino, insieme agli album impolverati, alla carta e a una pianta grassa talmente lucida da sembrare finta.
Le disse: “La conosci l’ombra del tuo profilo? L’hai mai osservata?”
No.
Non veramente.
O forse, con diffidenza…
Le si avvicinò e le consegnò la foto.
“Guarda. È un’ombra, ed è bella”
“Sei tu”
Profonda e bella! Brava ♥️
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♥️ Grazie Nizzz
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