Oggi condivido, senza aggiungere molto, l’articolo di Lea Barletti pubblicato su TeatroeCritica il 3 Novembre 2020.
Ci sono riflessioni che, in un momento come questo, meritano di essere condivise il più possibile.
Da leggere!
(…) la disincarnazione dello sguardo, attraverso un progressivo rosicchiamento, smangiucchiamento, del corpo e dei suoi spazi di movimento, spazi dove esercitare la sua funzione (presente!) di medium di ciò che si vede e dell’esperienza in genere, è un processo in atto (perché lo è, in atto), e però in atto già da diverso tempo. Questo processo, in atto, lo subiamo, lo avvalliamo, lo cerchiamo, lo creiamo e ne siamo complici, più o meno (più o meno) consapevolmente e più o meno (più o meno) senza battere ciglio, da diversi anni. (…)
(…) Quello che appare, o almeno mi è apparso, attraverso la mia personalissima crepa, stamattina, mentre impastavo il pane, è che è da molto tempo che ci stiamo, e piuttosto docilmente, trasformando in sguardi senza corpo e in corpi senza sguardo.
Fuori casa: in metropolitana, sui mezzi e negli spazi pubblici, per strada (ma non solo): corpi senza sguardo, ripiegato, questo, quasi costantemente su un qualche dispositivo digitale, smartphone, tablet, pc. Non guardiamo, o guardiamo poco, distrattamente, di sfuggita… (presente?).
A casa: “in privato”, e in uno spazio privato. Sguardi senza corpo, a fruire di arte, cultura, intrattenimento, istruzione, sempre attraverso un qualche dispositivo (presente?). A parlarci, a volte anche, e persino, ad amarci, senza più il corpo e spesso senza più nemmeno la voce, ultima messaggera del corpo. Restano, certo, le dita, che furiosamente digitano (…)