-Le avventure di Beatrice-
C’era una strada che la chiamava.
Era stato un colpo d’occhio ad averla spinta in quella direzione, il suo sguardo ne aveva raccolta l’immagine con la stessa diffidenza con cui la vista percepisce l’asfalto in estate piena, quando il sole è a picco e la temperatura troppo alta, il calore evapora e sembra che il mondo cuocia in certi punti. Lì – su quella strada – cuoceva particolarmente. Inoltre si sentiva in sottofondo uno scoppiettìo continuo, come se chissà dove ci fosse un’enorme brace accesa.
Era curiosa. Come sempre.
Quando raggiunse a piedi l’estremo orizzonte – che poco prima guardava da lontano – lo sfrigolio cessò del tutto e si rese conto di un ulteriore elemento singolare: dalla posizione in cui si trovava all’inizio non era riuscita a vedere oltre quello stesso punto in cui stava ferma adesso, il che era impossibile. Impossibile non scorgere anche a chilometri di distanza il meraviglioso campo coltivato che si stendeva davanti ai suoi occhi.
Un’anziana signora sedeva contemplando. Doveva essere la proprietaria del terreno e Beatrice pensò che potesse avere almeno cent’anni. La donna percepì la presenza della bambina, si alzò in piedi con scioltezza e come se la conoscesse da sempre le si rivolse mentre raccoglieva da terra una grande tazza colma d’acqua, dicendo che avrebbe potuto coltivare qualsiasi cosa lì, su quella terra, che era buona per le verze e perfino per l’uva fragola, ma a lei piacevano loro.
Loro erano un numero indefinito di sogni, tutti appartenenti ai cittadini di Aitapa, il paese di Beatrice.
Mentre la donna dava da bere ai più vicini, la bimba si perdeva nella vista incredibile di un orto sterminato su cui erano coltivati sogni da generazioni, una tradizione antichissima tramandata dalla madre -raccontava la signora- un lavoro che necessitava della forza di ridare vita a sogni malridotti, lasciati nel cassetto, dimenticati, sottovalutati e abbandonati. Beatrice non riusciva a scorgere la fine di quel terreno magico in cui erano stati piantati progetti di ogni tipo, che per svariati e più o meno validi motivi avevano bisogno di qualcuno che credesse ancora in loro. – La bambina era senza parole. Ne aveva viste di cose strane e meravigliose durante le sue avventure ma come questa mai. – L’anziana signora si prendeva cura di quei sogni come fossero pomodori o gerbere, le disse che molti erano arrivati in condizioni pessime, devastati dalla noncuranza con cui erano stati buttati via – invece bastava dar loro da bere, amarli e parlarci quotidianamente, proprio come con le piante. – Tutti crescevano infatti rigogliosi e robusti e non avevano nulla da invidiare ai cespugli di rosa canina che abbellivano il giardino dei genitori di Beatrice. Ognuno con le proprie particolari foglie, con i frutti già maturi o le gemme in attesa di sbocciare.
“Le radici su cui si sostengono sono le motivazioni che li hanno fatti nascere, le foglie e i rami la forza di volontà e la passione che hanno determinato la loro crescita. I fiori e i frutti sono i doni restitutivi di questo meraviglioso processo”
…disse l’anziana signora mentre innaffiava qualcosa di completamente diverso dal resto. Beatrice si piegò sulle ginocchia per osservarlo meglio e scorse uno splendido sogno dal gambo color perla, contenuto in un vaso specchiato che rifletteva i colori a cui stava vicino. “E questo…?” chiese Beatrice con una voce bambina piena d’entusiasmo. La signora rispose che il suo desiderio era incontrare ogni persona a cui appartenevano tutti quei sogni, così che ciascuno potesse finalmente ammirarli e innamorarsi nuovamente del proprio. Il tempo che dedicava al campo, però, le impediva di occuparsene quotidianamente e con cura come avrebbe voluto, perciò il sogno era ancora così piccolo, inaridito inoltre dalla sensazione di un lavoro vano.
“Le persone purtroppo non sono tutte come te piccola…”
Fu così, vedendo lo sguardo commosso della donna, che Beatrice prese una decisione importante: portare via con sé il sogno nel vaso di specchi e trapiantarlo in modo che i cittadini di Aitapa potessero nutrirlo e alimentarlo, così che un giorno, diventato immenso e rigoglioso, avrebbe spinto con un incantesimo tutti gli ex sognatori a incamminarsi verso la strada e raggiungere finalmente l’orto dei sogni.
L’anziana signora fu travolta dal pianto. Non era certa che quest’idea potesse funzionare, però nessuno fino a quel momento, al di fuori di se stessa, si era affezionato a qualcosa che le appartenesse, nessuno era riuscito a superare la diffidenza che suscitava la strada sterrata e il suo scoppiettìo, nessuno l’aveva mai raggiunta scoprendo il campo magico. Così abbracciò la piccola, le consegnò il proprio sogno e dopo averla salutata riprese a dedicarsi a quelli degli altri come aveva sempre fatto, con le lacrime che non smettevano di bagnarle il viso e una gioia indicibile nel cuore.
Nel paese di Aitapa, da quel giorno, c’è un sogno color perla piantato nella piazza principale. Grazie a Beatrice è diventato un simbolo per tutti i cittadini e quando la bimba sarà grande, lui lo sarà altrettanto.

Bellissimo Niiizzziii 💖
Il paese é apatia al contrario … forte 🙏😍
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mmmmmm mmmmm ❤ grazie yonnu
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